“Oltre la curva della strada” scrive Alberto Caeiro (quindi Fernando Pessoa) nella poesia “Oltre” (Para além), “forse c’è un pozzo, e forse un castello, / forse solo la continuazione della strada. / Non so né domando. / Finché vado nella strada prima della curva / guardo solo la strada prima della curva […] / A nulla servirebbe star a guardare l’altro lato / e quello che non vedo. / Ci interessano soltanto i luoghi ove ci troviamo. / C’è abbastanza bellezza nello star qui […]”. È questa bellezza dello star qui, che per un essere umano moderno vuol dire stare nella città […] dell’artista e architetto Francesco Careri. Una bellezza, tuttavia, che può stare qui, sul posto, perché questo stesso posto è attraversato come se fosse un luogo sconosciuto ed estraneo. Ecco allora la forza di quella congiunzione che tiene insieme il movimento più semplice che ci sia, il camminare, e quindi lo spostamento e l’irrequietezza, con il fermarsi, ossia con lo stare la sosta e, in fondo, la contemplazione. L’altrove è qui, è questo il pensiero, in realtà il gesto specifico, di Careri, che non lo cerca – come fa invece chi ha poca immaginazione, e pensa di trovarlo nel Sahara o in qualche sperduta isola del pacifico – piuttosto vede e pratica il qui come un altrove. Si tratta del gesto elementare, forse l’unico gesto ‘ecologico’ nel tempo dell’antropocene, che trasforma il consueto nell’inquietante, e l’estraneo in familiare. Un gesto che trasforma la città in un accampamento nomade, ma anche, ed è l’aspetto meno scontato, ogni accampamento nomade una sorta di città stabile. Si tratta, in sostanza, di rendere mobile ciò che è rigido, e irrigidire, in qualche mondo, ciò che sembra essere solo momentaneo e volatile.
(Felice Cimatti – DOPPIOZERO)